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Storia di Rosarno

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Città

Rosarno è un comune italiano di 14.380 abitanti della provincia di Reggio Calabria in Calabria.

Vertice settentrionale di un'area densamente popolata (170.000 abitanti circa), la Piana di Rosarno.

La cittadina, confinante con la Provincia di Vibo Valentia, oltre ad essere uno snodo ferroviario ed autostradale di primaria importanza per l'intera provincia, è stata anche, grazie all'impegno dell'allora sindaco antimafia Giuseppe Lavorato, il primo Comune d'Italia a costituirsi parte civile in un processo antimafia (ottenendo risarcimento dei danni patrimoniali, morali e di immagine causati dai mafiosi) e uno dei primi a utilizzare per la collettività i beni confiscati alla 'Ndrangheta.

GEOGRAFIA

Rosarno si trova su una collina che si affaccia come un balcone naturale sul porto di Gioia Tauro e sulla pianura circostante (Piana di Rosarno).

Comprende un vasto e fertilissimo territorio che ha per limiti a nord il fiume Mésima, ad est il fiume Metramo e i primi contrafforti delle Serre calabresi, a sud il Comune di Gioia Tauro, ad occidente San Ferdinando (frazione di Rosarno fino al 1977). La cittadina è adagiata su una collina a 67 m. s.l.m., da cui domina la sottostante pianura, ricca di aranceti ed uliveti, ed il porto di Gioia Tauro, distante in linea d’aria appena 6 km.

Nel 2004 Rosarno ha ottenuto il titolo di città, conferitogli del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno.

Il suo territorio (di cui 120 ettari sono parte del Piano Regolatore predisposto dall'ASI - Area Sviluppo Industriale - per gli insediamenti industriali) è la porta di ingresso terrestre (ferroviaria ed autostradale) al porto di Gioia Tauro ed alle aree destinate agli insediamenti produttivi.

STORIA

Le origini di Rosarno sono da ricercare nell'antica colonia greca di Medma, fondata dai locresi alla fine del VI secolo a.C. Scomparsa Medma, la prima notizia riguardante Rosarno - situata in epoca medievale lungo la via Popolia - è del 1037, il cui nome, di origine bizantina (dal patronimico Rousare, sta a significare “il paese dei membri della famiglia Rùsari” ) si incontra appunto in un codice napoletano di quell’anno. Ebbe una certa importanza come “castrum” a protezione della Piana e stazione obbligata verso la Sicilia, quando Ruggero il Normanno pose la capitale del Regno nella vicina Mileto. Prima del X sec. un complesso monastico venne edificato dai Monaci Basiliani sulla collinetta denominata Badia, intitolato a Santa Maria del Rovito, che riuscì a sopravvivere per ben 800 anni fino a quando non venne soppresso nel 1809 per effetto del decreto di Gioacchino Murat. Unica testimonianza dell’antichissimo convento è una preziosissima croce bizantina in argento del sec. XII, conservata nel Monastero basiliano di Grottaferrata, su cui in greco è impressa l’iscrizione: “A Te tutta pura Madre del Verbo offerse Costantino nella liberazione dei morbi”. Nel 1305 il feudo di Rosarno risulta intestato nei Registri Angioini a Giovanni Ruffo di Catanzaro. Per effetto del matrimonio tra Enrichetta Ruffo ed Antonio Centelles, il feudo venne trasferito nel 1439 a quest’ultimo, per ritornare alla Corona nel 1463, dopo la vittoria di Ferdinando d’Aragona sul ribelle feudatario. Assegnata dapprima alla famiglia d’Alagno o d'Alagna, e poi ad Agnello Arcamone, la terra di Rosarno pervenne a Ludovico il Moro che nel 1499 la cedette ad Isabella d’Aragona, duchessa di Milano. Nel 1507, il Ducato di Monteleone, la Contea di Borrello e la Signoria di Rosarno, permutate da Isabella con il Ducato di Bari, furono concessi da re Ferdinando il Cattolico ad Ettore Pignatelli (ma secondo qualche storico da questi acquistati in modo fraudolento), la cui famiglia ne mantenne il possesso fino al 1806, anno dell’eversione della feudalità. Nel febbraio del 1735 il giovane re Carlo III di Borbone venne per 15 giorni ospitato dai Pignatelli nel loro palazzo di Rosarno. Durante questo soggiorno il Re trascorse gran parte del tempo andando a caccia nel Bosco, rinomato per l’abbondanza di selvaggina e per le sue erbe medicinali. Fu qui, racconta Pietro Colletta, che il Sovrano, costretto un giorno dalla pioggia a riparare in un povero tugurio, “trovando giovine donna or ora sgravata, volle farsi suo padrino; donò di cento doppie d’oro la madre; assegnò al fanciullo ducati venticinque al mese finché in età di sette anni venisse alla reggia”.

Rosarno diede i natali nel 1745 al Cardinale Francesco Maria Pignatelli, famoso per avere ricevuto la rinuncia al Pontificato da parte di Papa Pio VII (quando con lui si recò a Parigi), preoccupato che Napoleone avrebbe potuto con la forza e la violenza strappare concessioni alienanti i diritti della Chiesa.
Rosarno fu completamente distrutta dal terremoto del 5 febbraio 1783, che causò oltre 60.000 vittime nell’intera Calabria. Lo sconvolgimento tellurico – che produsse alla periferia del paese una fenditura lunga circa 1 km, larga 100 metri e profonda 30 - non solo comportò la perdita di 203 cittadini, ma ebbe tristissime conseguenze sul territorio, a causa dell’abbassamento della vallata del Mesima. La città “fu da cima a fondo distrutta a segno, che una confusa e indistinta ruina ora ricopre quel suolo, ove furono i suoi edifici”. I gravi fenomeni di disordine idraulico che ne seguirono, portarono all’impianto della malaria e alla conseguente decimazione della popolazione, ridottasi sul principio del XIX secolo ad appena 700 anime!

Nel 1799, il Generale Championnet, per l’ordinamento amministrativo che dava alla regione, riconosceva autonomo Rosarno, e l’includeva nel Cantone di Seminara. Per decreto 4 maggio 1811, istitutivo dei Comuni e dei Circondari, veniva considerato tra i primi e posto nella giurisdizione di Nicotera. Per la legge 1 maggio 1816, istitutiva della nuova provincia di Reggio, veniva in questa trasferito ed assegnato al Circondario di Laureana.

Posta a presidio della Valle del Mesima e della Piana, preda degli eserciti diretti alla conquista della Sicilia, Rosarno fu al centro degli avvenimenti che caratterizzarono la storia della nostra regione durante l’Ottocento. Nel corso della rivolta sanfedista del 1799, occupata dalle truppe francesi, fu liberata dal Cardinale Ruffo, che vi pose il quartier generale per alcuni giorni, in attesa di proseguire la marcia verso nord alla conquista di Napoli. Il Ruffo approfittò della sosta rosarnese per scrivere alcune lettere al ministro Acton e a re Ferdinando, riparato a Palermo sotto la protezione degli inglesi. Nei boschi di Rosarno trovarono rifugio per diversi anni alcune bande di briganti, fedeli alla Corona, tra cui il terribile Francesco Moscato, detto “u Bizzarru”, di Vazzano, un paesino delle Serre. Venne catturato e ucciso a seguito della campagna di feroce repressione condotta per i francesi dal generale Manhes. Nel 1833, appena salito al trono, il re Ferdinando II, in visita nelle Calabrie, viene a Rosarno, ospite del generale Vito Nunziante nella sua bella dimora di San Ferdinando. Fa regalo alla chiesa di una bellissima campana di bronzo. Vi fa ritorno nel 1852, accolto trionfalmente dai rosarnesi con una solenne celebrazione nel Duomo cittadino. Durante la spedizione per la conquista del Regno di Napoli, nella città fece sosta Giuseppe Garibaldi con il suo esercito. Il 26 agosto 1860 fece un bivacco ai piedi dell’abitato, presso la Fontana Nuova, ove si rifocillò con i suoi uomini. Il Comune provvide a rifornire la truppa di pane, facendo venire da Nicotera sufficienti provviste. Del passaggio dei garibaldini da Rosarno ne dà notizia nelle sue “Impressioni di viaggio” Maxime Du Camp, lo scrittore-soldato francese al seguito dei Mille.

Dall’infelice condizione in cui era caduta dopo il terremoto del 1783, seguito dall’impianto della malaria, Rosarno venne progressivamente affrancata, grazie alla bonifica avviata dal Marchese Vito Nunziante, fedelissimo generale di re Ferdinando di Borbone, cui venne affidato il compito di procedere al risanamento del territorio, dietro lautissimo compenso: il possesso degli 854 ettari bonificati! Migliaia furono i lavoratori impiegati nella gigantesca opera di redenzione agraria, provenienti dai paesini del Monte Poro, e dal Cosentino, tutti raggruppati in un villaggio in riva al mare, che prese il nome nel 1831 di San Ferdinando, frazione di Rosarno fino al 1978, quando fu eretto a Comune autonomo.

Completata nel corso dei decenni a venire con interventi mirati a contenere la furia delle acque che devastanti dall’Aspromonte e dalle Serre si riversavano verso il mare, la bonifica della Piana di Rosarno produsse gli effetti sperati, trasformando un territorio acquitrinoso e insalubre in una plaga ubertosa e lussureggiante, a tal punto da rendere possibile l’impianto di colture agricole pregiate, quali quelle agrumicole ed olivicole. Ottimi risultati sta conseguendo la coltivazione del kiwi.

Grazie alle accresciute potenzialità economiche, nel corso degli anni Rosarno vide incrementare progressivamente la popolazione, divenendo punto di riferimento per migliaia di lavoratori provenienti dai paesi vicini e dalla zona jonica, e di commercianti di prevalente origine napoletana (Gargano, Criscuolo) che, grazie all’apertura della linea ferroviaria Eboli-Reggio Calabria, aprirono empori e magazzini sulla via Nazionale, in prossimità della stazione ferroviaria. All’inizio del Novecento la ferrovia registrava un movimento merci tale da consentire un reddito annuo di mezzo milione di lire. I traffici commerciali di ben 7 mandamenti (Polistena, Cinquefrondi, Laureana, Mileto, Nicotera, Soriano e Arena) facevano capo alla cittadina. Gli operatori dei paesi vicini potevano trovarvi “quei generi che prima forniva solo Gioia Tauro”, un centro a vocazione schiettamente commerciale, a cui Rosarno in quegli anni aveva strappato il primato. Un ulteriore impulso alla trasformazione agraria venne dato dall’occupazione delle terre del Bosco (come già detto, rifugio privilegiato delle bande di briganti fedeli al deposto re borbonico durante il decennio francese), avvenuta nel 1945. Ben 750 ettari incolti vennero incamerati in modo pacifico da altrettante famiglie di contadini, che impiantandovi agrumeti ed oliveti riuscirono a venir fuori dalla condizione di ancestrale miseria ed assicurarsi un avvenire più dignitoso.